I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)

Fino a qualche anno fa questi disturbi venivano interpretati dagli insegnanti come uno scarso impegno da parte dell’allievo che appariva ai loro occhi apatico, poco motivato allo studio, a volte con problemi di natura socio-emotiva. I genitori attribuivano le difficoltà dei  loro figli alla scuola, agli insegnanti, al metodo d’insegnamento o anche all’ambiente scolastico poco stimolante.

Questi disturbi ora hanno un nome e si differenziano da una condizione di “difficoltà” che determina una prestazione dell’alunno inferiore ai livelli attesi per l’età. I disturbi di apprendimento si desumono, al contrario, da una valutazione clinica che riscontra la presenza di un vero e proprio deficit di abilità che lascia però intatto il funzionamento intellettivo generale della persona.

Fanno parte di quest’ampia categoria:

  • I disturbi della lettura (dislessia);
  • I disturbi della scrittura (disgrafia e disortografia);
  • I disturbi del calcolo (discalculia).

Non esistono segni particolari, fisici o comportamentali, che permettono al genitore o all’insegnante di individuare un bambino con DSA, la loro individuazione comincia quando l’alunno si confronta per la prima volta con l’apprendimento scolastico e, a quel punto, il criterio per stabilire la presenza del disturbo è quello  della discrepanza tra l’abilità specifica (di lettura, di scrittura o di calcolo) che è deficitaria in rapporto all’età e/o alla classe frequentata, e l’intelligenza generale, adeguata per l’età cronologica. E’ molto importante la diagnosi precoce del disturbo.

Alcune caratteristiche del bambino con DSA

  • Frequenti errori ortografici
  • Facile distraibilità e scarsa attenzione
  • Lentezza generalizzata (nell’esecuzione dei compiti)
  • Facile affaticamento
  • Memorizzazione difficoltosa (per tabelline, sequenze numeriche, ecc.)
  • Organizzazione spaziale difettosa (confusione nella lateralizzazione, difficoltà spaziale sul foglio, ecc.)
  • Organizzazione temporale difettosa (difficoltà a leggere l’orologio, ricordare date, ecc.)
  • Difficoltà nella motricità fine (difficoltà ad allacciarsi le scarpe, a tenere la penna, grafia illeggibile, ecc.)
  • Disturbi comportamentali (chiusura, irrequietezza)

Il modello cognitivo comportamentale per il trattamento dei disturbi dell’apprendimento è largamente condiviso nel panorama pedagogico-didattico e si fonda sull’assunto che le abilità del leggere, dello scrivere e del calcolare si costruiscano progressivamente nel tempo e soltanto se esistono dei prerequisiti cognitivi, generali e specifici, denominati “componenti processuali del compito” (Cornoldi, 1985; Meazzini, 1986). L’azione educativa è diretta, dunque, all’individuazione delle componenti non sufficientemente sviluppate, agendo selettivamente su di esse. Laddove l’intervento fosse tardivo o di difficile attuazione per la presenza di comorbilità, l’intervento cognitivo comportamentale sarà volto ad attenuare e circoscrivere le conseguenze funzionali del disturbo attraverso interventi abilitativi e riabilitativi.

Per approfondire: Vio C., Toso C., “Dislessia evolutiva. Dall’identificazione del disturbo all’intervento”, Carocci, 2007. Cornoldi C., “I disturbi dell’apprendimento”, Il Mulino, 1999.

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